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Così la pensa l'assessore Cersosimo su POR e 106

26 mag 2009
"Le prospettive del POR e la statale 106" è il titolo di un articolo dell’economista e assessore cosentino alle politiche di sviluppo Domenico Cersosimo, oggi pubblicato sul sito www.comunisticalabria.org del gruppo consiliare regionale dei comunisti italiani.
Si riporta il testo integrale:
Come il più classico dei riflessi pavloniani, il "partito delle infrastrutture" è ricomparso sulla scena dell’asfittico dibattito sullo sviluppo regionale. La proposta è semplice ed accattivante: spostare risorse finanziarie da misure di intervento del Por a rischio di disimpegno automatico verso l’ammodernamento della SS106. Si evita così che la Calabria "perda i soldi" comunitari e, nel contempo, si investe nel miglioramento della tristemente nota "strada della morte". Che si vuole di più? Come si fa a rifiutare una proposta simile? Ci sono più ragioni che rendono problematica e che sconsigliano il perseguimento di questa strada. La prima è connessa alla modalità di costruzione del Por Calabria. Quest’ultimo, come è noto, è stato ideato e progettato attraverso un’azione corale delle istituzioni intermedie regionali, in stretto contatto con il Ministero del Tesoro e della Commissione europea. Pur con tutti i limiti, si è trattato di un esercizio di programmazione senza precedenti in Calabria, che ha sollecitato e incentivato la partecipazione attiva di strutture regionali e subregionali, di associazioni imprenditoriali e sindacali, di comuni e province, di associazioni ambientaliste e non profit, di scuole e università. La strategia generale e l’articolazione operativa del Por sono state costruite attraverso un confronto lungo e di merito tra una moltitudine di soggetti istituzionali; sono state votate all’unanimità dal Consiglio regionale; sono diventate la carta degli intenti programmatici e la lista degli impegni della Calabria fino al 2006, peraltro certificati (e apprezzati!, il che non guasta) dallo Stato italiano e dalla Commissione europea. Cambiamenti sostanziali del Por dovrebbero pertanto essere sottoposti alla verifica e al consenso della platea degli attori coinvolti inizialmente e, in ogni caso, negoziati con lo Stato e la Commissione. La seconda ragione è legata alla concezione dello sviluppo. Il Por Calabria assume l’idea di sviluppo economico come processo complesso, come una vera e propria costruzione sociale che presuppone una mappa integrata di interventi nella sfera strettamente economica e imprenditoriale e in quella socio-culturale. Assume cioè l’idea che non bastano singolarmente le infrastrutture, gli incentivi alle imprese, i servizi reali, gli interventi alla ricerca, le azioni di miglioramento della qualità urbana, la formazione del capitale umano. C’è bisogno di tutto ciò. C’è bisogno di tutto ciò contemporaneamente. Per questo lo sviluppo è un rompicapo. Una "porta stretta" fatta di interdipendenze, di azioni plurisettoriali, di incastri istituzionali, di azioni nell’economia e nel sociale. Non esistono scorciatoie. Al più illusioni semplificatrici, come per l’appunto quella di "dirottare" risorse verso un’unica infrastruttura per quanto socialmente assai importante. La terza ragione di opposizione è relativa al disimpegno automatico. Come è noto, i fondi strutturali devono obbedire alla legge "n 2", ossia tutto ciò che viene impegnato nell’anno n deve essere speso e rendicontato al più nel biennio seguente. Le somme impegnate e non spese entro il biennio successivo subiscono la "tagliola" del disimpegno automatico, vale a dire tornano a Bruxelles e assegnate alle regioni più virtuose. Nel precedente Quadro comunitario di sostegno 1994-99 non era così, dal momento che le somme non spese potevano essere riprogrammate e dunque evitare la restituzione. La Calabria nel primo biennio di attuazione del Por non è incappata nel disimpegno unicamente grazie ai cosiddetti progetti "compatibili" (prima "sponda"), cioè a progetti di investimenti realizzati con altri canali finanziari e altre procedure e portati a rendicontazione sul Por in quanto "compatibili", per l’appunto, con la filosofia del Programma. Tuttavia, pur disponendo per il primo biennio di applicazione all’incirca 1,5 miliardi di Euro di spesa pubblica, la Calabria è riuscita a rendicontare poco più di 600 milioni di Euro, ovvero meno della metà delle disponibilità. La capacità di spesa della regione è dunque estremamente modesta. Ed è modesta in tutti gli assi di intervento. Non brilla nelle misure rivolte a sostenere l’accumulazione, tantomeno in quelle destinate all’accrescimento dello stock infrastrutturale. Spostare da un’azione di intervento ad un’altra serve ben poco. Soprattutto non serve ad abbassare il rischio del disimpegno automatico. Per evitare di perdere le risorse è necessario prima di tutto organizzare una macchina tecnico-amministrativa all'altezza della sfida. La struttura organizzativa della regione è ancora oggi, a tre anni dell’avvio dal Por e circa cinque dall’inizio della discussione istituzionale su Agenda 2000, distante anni luce da assetti compatibili con velocità della spesa, efficienza ed efficacia degli interventi confinanziati dalla Comunità. Incide inoltre, e pesantemente, la evidente sfiducia e lo scarso interesse da parte degli amministratori regionali nei confronti delle finalità e dei processi sottesi al Por. Nella migliore delle ipotesi il Por viene considerato e vissuto come un impaccio istituzionale, come vincoli e limitazioni alla libertà d’azione e alla discrezionalità decisionale. Senza un’adesione convinta e partecipata al Programma è del tutto scontato che la spesa arranchi, che tenda a prevalere la ricerca degli artifici per aggirarlo, che l’intera filiera istituzionale e tecnica che dovrebbe implementarlo sia disorientata e più attenta a come acciuffare rendite particolaristiche piuttosto che a "spendersi" in un nuovo gioco fatto di cooperazione e interdipendenze funzionali. Una terza ragione è relativa alla questione dell’addizionalità. Il Por è ab origine un insieme di interventi e di investimenti di carattere aggiuntivo. Serve per dare altra "benzina" al motore dello sviluppo locale. Impegna risorse destinate ad accelerare i processi di crescita regionale, a migliorare permanentemente il contesto e a creare nuove esternalità di sistema oltre gli interventi ordinari. Non sono insomma risorse sostitutive. Le grandi vie di comunicazioni e le reti di trasporto interregionali non possono, per definizione si potrebbe dire, essere finanziate dal Por. Innanzitutto per problemi di dotazione finanziaria: non basterebbero tutte le risorse monetarie pubbliche e private del Por per risolvere definitivamente il problema 106. Inoltre, perché quelle infrastrutture sono di chiara pertinenza nazionale, che vanno affrontate con altri strumenti e con altri finanziamenti. La 106 è uno straordinario problema ordinario della politica infrastrutturale nazionale. La latitanza del governo nazionale non può essere surrogata a livello regionale, soprattutto sarebbe assai iniquo utilizzare fondi Por destinati ad altri scopi. Una quarta perplessità è relativa alla velocità della spesa infrastrutturale. Il partito delle rimodulazione dei fondi Por a favore della 106 presuppone che la spesa infrastrutturale sia veloce, molto più rapida di quella dirottata verso altri obiettivi, dunque in grado di evitare il disimpegno automatico delle risorse. Le evidenze empiriche sono tuttavia tutt’altro che rassicuranti. Infatti, la spesa infrastrutturale alla prova dei fatti non è affatto più veloce. Anzi in moltissimi casi la capacità di "fare spesa" da parte del settore delle infrastrutture è assai più basso di quella conseguita in altri settori. In realtà, la tempistica delle opere civili, soprattutto di quelle grandi, è molto dilatata nel tempo. Giova ricordare che la capacità di spesa non si esaurisce nella semplice apertura dei cantieri, bensì nella realizzazione delle opere e nel loro completamento. Le opere partono abbastanza velocemente, il loro completamento è invece infinito. D’altro canto basta guardarsi attorno e rendersi conto della sequela infinita di cantieri perenni che punteggiano la regione. Inoltre, sarebbe il caso di chiedersi quanta spesa rendicontata ha finora conseguito il tanto declamato Accordo di programma quadro sulle infrastrutture. Infine, siamo sicuri che la preoccupazione sia la velocità della spesa e l’angoscia del disimpegno? Se così fosse non si capisce perché a distanza di oltre un anno la regione non ha ancora avviato la negoziazione sui Programmi di sviluppo urbano delle sei principali città regionali che hanno già realizzato diverse centinaia di milioni di euro di investimenti, cioè spesa immediatamente rendicontabile. Infine, c’è una ragione impalpabile ma maledettamente concreta che lascia perplessi in questa querelle sulla rimodulazione dei fondi del Por a favore della 106. La politica degli annunci è deleteria per lo sviluppo. Essenzialmente perché "spiazza" gli operatori, alimenta incertezza e instabilità. Gli operatori, privati e pubblici, reagiscono agli annunci, di norma, frenando l’iniziativa. "E’ meglio aspettare piuttosto che buttarsi nel settore sbagliato" è la loro reazione. Il che implica paralisi delle attività e di conseguenza modesta capacità di spesa. Il solito circolo vizioso del sottosviluppo. Lo sviluppo ha bisogno di certezze. Di certezze normative, procedurali, settoriali. Di stabilità istituzionale. L’opposto della gara agli annunci retorici che pare ossessionare gli amministratori regionali. Domenico Cersosimo