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Rendano: convince la "Tosca" di Antonello Palombi. Fanno il pieno di applausi il tenore Caimi e il soprano Daria Masiero

tosca
23 gen 2016

Paga il suo tributo al cinema e alle nuove tecnologie, ma mette tutti d’accordo la “Tosca” firmata da Antonello Palombi e andata in scena al “Rendano” di Cosenza per il quarto appuntamento della stagione lirico-sinfonica del teatro di tradizione cosentino (si replica nel pomeriggio di domani, domenica, alle 17,30).
In un “Rendano” gremitissimo (il sold out era stato annunciato da giorni), l’opera pucciniana ha suscitato l’apprezzamento del numeroso pubblico intervenuto che non ha lesinato applausi all’indirizzo degli interpreti, del regista, dell'Orchestra, del coro lirico “Francesco Cilea” e del Piccolo Coro dello stesso Rendano.
Quella che alla vigilia poteva sembrare un’operazione ardita, annunciata come un mix tra tradizione e innovazione, alla fine ha premiato gli sforzi di Antonello Palombi, tenore umbro di solida esperienza che in questa occasione si è voluto cimentare, come fa una tantum tra una pausa e l’altra della sua prolifica attività di cantante, nelle vesti di regista, affiancato da una vecchia conoscenza del pubblico cosentino, quel Rocco Pugliese Eerola che col Rendano iniziò a collaborare sin dal 1985, firmando alcune regie (“Barbiere di Siviglia”, “Andrea Chenier” e “Madama Butterfly”) ma che si seppe distinguere anche come direttore di scena. Un’esperienza, la sua, che, firmando le scene e i costumi, ha fatto la differenza anche in questo nuovo allestimento di “Tosca” con il quale ha ripreso a pulsare anche l’apparato produttivo del “Rendano”, a cominciare dai laboratori autoctoni di trucco, parrucco e sartoria.
Palombi e Pugliese, ciascuno per la sua parte, hanno innervato nell’impianto tradizionale dell’opera pucciniana, molto rispettoso di quanto si è abituati a vedere quando si assiste ogni anno alle diverse riproposizioni di “Tosca”, un bell’armamentario di integrazioni che hanno completato le scene, facendo ricorso al cosiddetto videomapping che ha proiettato l’azione, nel senso più pieno del termine, nei luoghi di Tosca, da S.Andrea della Valle (fulcro del primo atto) a Palazzo Farnese (dove si consuma l’uccisione di Scarpia), a Castel Sant’Angelo, dove trova il suo funesto epilogo la tragedia che vede protagonisti Mario Cavaradossi e Floria Tosca.
Non è un’entrata a gamba tesa quella delle proiezioni che accompagnano l’azione sin dal prologo. Ma tutto si snoda in punta di piedi, armonizzando le parti video con le scene presenti sulle tavole del palcoscenico, creando un effetto niente affatto disturbante. Tutto il lavoro, costruito con certosina pazienza e applicazione dal regista Palombi e dallo staff di Rocco Pugliese (il light designer Ernesto Fabriziani e i due giovani videomakers Michelangelo Gregori e Daniele Ercolani) trova il suo completamento, paradossalmente sui titoli di coda (ed è qui soprattutto che la lirica paga il suo dazio al cinema), quelli che, con una intelligente trovata, si fanno scorrere accanto ai protagonisti dell’allestimento, singolarmente tornati, dopo la chiusura del sipario, a strappare il meritato applauso, illuminati da un fascio di luce sul nero dello “schermo” che celebra un vero e proprio matrimonio tra melodramma e lanterna magica. E le voci? Si prende dal suo ingesso in scena la sua buona razione di applausi convinti, il tenore calabrese Leonardo Caimi. Il suo Cavaradossi è apparso molto ben immerso nel ruolo, con una vocalità dalle giuste rotondità e in continuo crescendo, sì da rasentare la perfezione nell’esecuzione della celebre romanza “E lucevan le stelle”.
La Tosca del soprano pavese Daria Masiero non è da meno, sia quando duetta con Cavaradossi-Caimi, sia quando è impegnata a fronteggiare le profferte e i raggiri di Scarpia. La Masiero è elegante, convincente, autorevole. La sua prima “Tosca” in forma scenica, dopo quelle che ha cantato in forma di concerto, supera l’esame a pieni voti, soprattutto quando si cimenta nel “Vissi d’arte” cui conferisce estrema delicatezza e rigore esecutivo.
Entra in scena dalla platea, dando un primo saggio della scelta registica di prediligere in qualche frangente l’abbattimento della “quarta parete” fino a far sconfinare l’azione tra il pubblico, il barone Scarpia, interpretato dal baritono Francesco Landolfi. Il suo capo della polizia papalina ha le phisique du role e la giusta dose di ambiguità.
Imprenscindibili e puntuali apporti sono venuti dalla giovane Orchestra del Teatro “Rendano”, in continua crescita e affidata all’ottima guida del direttore e maestro concertatore Luca Ferrara, ormai di casa al “Rendano”, così come dai magnifici cori, il Lirico “Francesco Cilea”, diretto da Bruno Tirotta, e il Piccolo Coro, ben plasmato ed organizzato da Maria Carmela Ranieri. Si provi a rimandare a memoria la scena del “Te Deum” per avere conferma. Ed è proprio in questo frangente e in tutto il primo atto che si è distinto, tra i ruoli di secondo piano, il sagrestano del baritono messinese Alessandro Battiato. Ha avuto ragione il regista Palombi a puntare su di lui. “Abbiamo un sagrestano – aveva detto Palombi alla vigilia - che è impressionante. Mi ha dato tantissimo e ho sfruttato tutte le sfumature. Se, durante le prove, gli davo un input, da quello veniva fuori il mondo”.
E così è stato. La classica ciliegina sulla torta per una “Tosca” che mancava dal cartellone del “Rendano” dal 2008 ed il cui ritorno ha suscitato i consensi di un pubblico attento e desideroso di riconciliarsi con l’opera, anche se filtrata attraverso la lente della nuova tecnologia.

 

Autore: Giuseppe Di Donna