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Il Teatro canzone per raccontare l'Italia dei giovani. Al Morelli lo spettacolo "Morir sì giovane ma in andropausa" con Dario De Luca

Dario De Luca
23 apr 2013

La vita è fatta di passioni. E Dario De Luca - compagno di viaggio di Saverio La Ruina in questa bella avventura che si chiama Scena Verticale, da vent’anni impegnata, e con successo, sulla scena del teatro contemporaneo, oggi titolare della residenza teatrale del Morelli – ne ha sempre avuta una, il teatro canzone, di gaberiana memoria.
“A 17 anni mi sentivo una mosca bianca. Parlare di teatro canzone con i miei coetanei non era proprio facile. Ho coltivato questa passione nel tempo. Quando è scomparso il Maestro di questo genere, il grande Giorgio Gaber, ho sentito che troppo grande era il vuoto che aveva lasciato”. Dario De Luca racconta così, con grande umiltà ma anche con grande consapevolezza, il percorso che ha portato alla nascita della sua ultima creatura teatrale, “Morir sì giovane ma in andropausa” che - dopo l’esordio al Festival estivo “Inequilibrio” di Castiglioncello”, due apparizioni calabresi al Peperoncino Festival Jazz e al “Rumori mediterranei” di Roccella - sta circuitando in tutta Italia con una fortunata tournée invernale che ha, nella partecipazione alla Rassegna “More” del teatro di via Oberdan, una delle sue ultime tappe, venerdì 26 aprile (ore 21.00).
Cambia registro Dario De Luca con questo spettacolo, apparentemente distante dal teatro di denuncia, che richiama l’attenzione sulle emergenze, al quale ci ha abituato Scena Verticale. Apparentemente, appunto. Perché, con la leggerezza del teatro canzone De Luca – autore dei testi insieme a Giuseppe Vincenzi, oltre che interprete e regista – affronta una tematica importante quanto attuale, un’altra emergenza del paese Italia, di quelle che turbano perché nega un futuro. È l’emergenza giovani, il dilemma di “una generazione, quella dei trenta-quarantenni, lasciati in mutande da una società gerontocratica e senza futuro”. Lo spettacolo porta in scena “la voce di questa generazione. Con la musica, le parole e una sana ironia”.
Ecco, la musica, di Vincenzi così come i testi delle canzoni. E’ eseguita dal vivo dalla Omissis Mini Órchestra, fatta da Paolo Chiaia (piano synth e armonica), Gianfranco De Franco (clarinetto, sax, flauti e loop), Giuseppe Oliveto (trombone, flicorno, fisarmonica e conchiglie), Emanuele Gallo (basso), Francesco Montebello (batteria e percussioni).

La precarietà dell’essere giovani è sì problema nazionale e ce lo ricorda anche il tricolore che compare in scena ad evidenziare - così come faceva in “Italianesi” rispetto agli immigrati albanesi, figli di italiani, rifiutati dalla nazione – un Paese che respinge i giovani invece di attrarli. Ma è anche il richiamo ad un senso di appartenenza attraverso il quale si auspica che passi il momento della riconciliazione. E la calabresità? Non è difficile immaginare che irrompa rispetto ad una problematica che è amplificata alle nostre latitudini. “Lo sguardo su un disagio, che è di tutto il Paese, è sicuramente quello di un meridionale – racconta Dario. La calabresità c’è e la riflessione diventa «glocal»”.

“Lo spettacolo, in senso artistico, è figlio di Giorgio Gaber e del suo Teatro-Canzone; nipote acquisito di zio Enzo Iannacci; fratello minore, di secondo letto, di Paolo Rossi”, scriveva Dario De Luca nelle note di regia dell’esordio. “Oggi – confessa – lo spettacolo ha una sua identità, molto forte”.
Ma, soprattutto, questo giovane calabrese, che per tre anni è stato «U tingiutu» raccontando all’Italia il dramma della ‘ndrangheta, ora vuole seguire questo percorso artistico. Sperimentando modi nuovi e dando voce a nuovi autori. “Ci sarà un’evoluzione – promette – forse anche radicale”.
Giovedì 25 aprile, alle 18.00, incontro con i protagonisti al Teatro Morelli.

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Teatro Morelli
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venerdì dalle 18.00 alle 20.45
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www.progettomore.it
 

Autore: Annarita Callari