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L'icona Bobby Watson chiude la tre giorni cosentina del "Peperoncino Jazz Festival" al Castello Svevo

bobby watson
22 lug 2016

Basterebbe ricordare una soltanto delle esperienze musicali vissute da Bobby Watson, sassofonista di Kansas City e tra le icone del jazz afroamericano, per capire quale altro “colpo” è riuscito a piazzare il “Peperoncino Jazz Festival” diretto da Sergio Gimigliano per la sua terza ed ultima serata cosentina al Castello Svevo prima di trasferirsi sull'Altopiano Silano.
La parabola di Watson conobbe uno dei suoi momenti più significativi tra il 1977 ed il 1981. Sono gli anni della sua collaborazione con la formazione dei “The Jazz Messangers” di Art Blakey da cui derivò una prolifica produzione discografica, ben 11 album, dal primo “Gypsy folk tales” (1977) a “Straight ahead” (1981).
Subito dopo la conclusione della sua esperienza nei “The jazz Messengers” Bobby Watson approda in Italia, a Milano, dove il suo percorso si intreccia con quello di Sergio Veschi della Red Records. Da questo sodalizio nascono due album: “Appointment in Milano” e “Round Trip”, quest'ultimo inciso con musicisti italiani come Attilio Zanchi e Piero Bassini. Da quel momento l'Italia entra nel cuore del sassofonista afroamericano. Il suo concerto al Castello Svevo di Cosenza, patrocinato dall'Amministrazione comunale, ne è stata un'ulteriore testimonianza, sia per il fatto di essersi esibito con tre delle nuove leve della scena jazzistica nazionale, il batterista Elio Coppola, Andrea Rea al piano e Daniele Sorrentino al basso (insieme formano una interessantissima formazione, il Dea trio, acronimo dei loro nomi di battesimo), sia per avere, in diverse occasioni, esaltato le virtù del nostro cibo e, a più riprese, la bontà del limoncello che ha ispirato un suo celebre brano dallo stesso titolo. Gran trascinatore, dal fortissimo carisma, Bobby Watson ha condotto per mano il Dea trio, azzerando ogni forma di divario anagrafico. Sicché il sassofonista è sembrato un eterno ragazzo e i giovani musicisti del DEA hanno rivelato, sotto la sua guida, una insospettata maturità. Alla fine il mix è perfettamente riuscito. D'altra parte anche chi lo ha accompagnato ha un buon background alle spalle. Se Andrea Rea e Daniele Sorrentino fanno quasi stabilmente parte del quartetto di Stefano Di Battista, Elio Coppola era stato già apprezzato alle nostre latitudini un po' di tempo fa, sia per aver accompagnato il crooner Walter Ricci il primo gennaio di quest'anno al Teatro “Rendano”, sia per una precedente sortita accanto al pianista americano Emmet Cohen con il quale, dopo essersi incontrati in un jazz club di New York, ha collaborato all'incisione dell'album “Infinity”, pubblicato dalla Skidoo Records, coraggiosa etichetta lucana e nel quale curiosamente, probabilmente per le origini di Coppola, figura una rivisitazione del classico della canzone napoletana “Nun è peccato”, scritta da Carlo Alberto Rossi, ma poortata al successo da Peppino Di Capri.
Nel concerto del Castello Svevo di Cosenza l'interplay tra Bobby Watson e il Dea trio funziona senza un attimo di cedimento, In apertura di set, il trio si era presentato con un brano che porta lo stesso nome della formazione. Poi, da quando sullo sfondo del palco, quasi uscito dalla penombra, si materializza la sagoma imponente di Bobby Watson, l'ascolto del pubblico si fa più attento e quasi religioso, interrotto qui e là solo da qualche godibilissima battuta del sassofonista.
Le proposte musicali spaziano da riconoscibili standard a sue composizioni. Da applausi a scena aperta la personalissima versione di “In a sentimental mood” di Duke Ellington, cavallo di battaglia di “Colussus” Sonny Rollins. Poi è la volta di una sua composizione originale, “Sweet Dreams”. Si va avanti con “Blues for peace” e con la già citata “Lemoncello” che Watson apre quasi come un rap e che si chiude in maniera travolgente con il supporto di un ottimo sound scaturito dagli strumenti di Coppola, Rea e Sorrentino. Il pubblico si spella le mani, consapevole di aver assistito ad un altro concerto coi fiocchi ed è quasi incredulo quando, molto prima di mezzanotte, Bobby Watson fa cenno di salutare e andar via. Ma la chiamata al proscenio è dietro l'angolo e c'è ancora tempo per una splendida “Mr. P.C.” di John Coltrane, impreziosita da Andrea Rea che la mescola ad un accenno di “Autumn leaves”. Ora è mezzanotte circa e la serata può terminare. E ci si porta dietro il ricordo di un altro concerto memorabile.

 

Autore: Giuseppe Di Donna