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Il Barbiere "onirico" di Rosetta Cucchi. La regista dell'opera di Rossini, che inaugura la stagione del Teatro "Rendano", svela i segreti del suo allestimento

la regista rosetta cucchi
11 nov 2014

Comincia a prendere forma al Teatro Rendano il “Barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini, titolo con il quale, il prossimo 21 novembre (ore 20,30), si inaugurerà la stagione lirico-sinfonica del teatro di tradizione cosentino che dal luglio scorso ha cambiato guida, dopo la nomina del nuovo direttore artistico Lorenzo Parisi. Significativa la collaborazione che Parisi ha attivato, per la produzione dell’opera di Rossini, con l’Accademia Rossiniana di Pesaro. E da Pesaro e dal Conservatorio “Gioachino Rossini” proviene anche la regista Rosetta Cucchi,indicata da più parti come una delle nuove promesse della regia italiana, nonostante la sua attività artistica abbia avuto inizio come pianista. In questa veste ha fatto parte dell’Orchestra Sinfonica della Rai come primo pianoforte, ma, a partire dal 1999, all’attività di apprezzata pianista ha affiancato quella di regista. La Cucchi fa parte della “grande famiglia” del “Rossini Opera Festival”, ma alcune sue prestigiose collaborazioni hanno assunto un respiro internazionale, come quella con il “Wexford Opera Festival” in Irlanda per il quale aveva diretto “La scala di seta”, sempre di Rossini.
Rosetta Cucchi è in questi giorni alle prese con le prove del suo “Barbiere di Siviglia” al “Rendano” di Cosenza.
“Il Barbiere – dice - è l’opera che amo di più e Rossini è l’autore a cui mi sento più vicina. In fondo in Rossini c’è un po’ “una follia organizzata”. Rossini è la follia, quello che gli inglesi chiamano lo sparkling, il fatto di essere frizzante, ma in qualche modo senza tempo, perché la gioia che c’è nella musica e in questo Barbiere in particolare appartiene a storie che possono accadere in ogni tempo.
In questo mio Barbiere – afferma ancora la Cucchi - mi sono voluta divertire proprio accompagnando e assecondando la follia di Rossini. Non posso dire che è un Barbiere moderno. E’, piuttosto, un Barbiere onirico. Io parto da un sogno e lo faccio proprio perché mi piace sviluppare l’idea che ci sia una linea temporale che va dal ‘700 ad oggi, senza colpo ferire”.
Poi si spiega meglio e sottolinea che il punto di partenza del suo allestimento è una Siviglia dei giorni nostri nella quale agisce “un barbiere un po’ sfigato al quale gli affari non vanno bene, perché i clienti non sono un granché, la sua barberia è un po’ desolata e triste e poi arrivano addirittura dei gangsters che gli rubano i soldi, insomma gliene fanno di tutti i colori.
Alla fine decide di chiudere bottega e mentre si appoggia alla sua unica sedia da barbiere, si addormenta e sogna quello che avrebbe voluto essere: cioè Figaro, che è un po’ il prototipo al quale ogni barbiere vorrebbe somigliare. E con un colpo di bacchetta magica, come un po’ nella favola di Cenerentola, si parte da lì per arrivare al Figaro del ‘700, aiutato da 12 piccoli barbieri che sono un po’ i folletti di questa storia e che muovono un po’ tutti i fili di questo sogno”.
I 12 piccoli barbieri che si vedranno agire nell’opera, nella quale aleggia qualcosa di shakespeariano, vicino al “Sogno di una notte di mezza estate”, sono 12 ragazzi di Cosenza reclutati nelle scuole della città. “Questo – sottolinea ancora la regista - è un altro modo di aprire il teatro ai giovani, facendoli stare sul palcoscenico. Se si annusa la polvere del palcoscenico dal teatro non si va più via. Credo che per loro sia in qualche modo un’esperienza unica”.
L’approccio di Rosetta Cucchi con il teatro d’opera è avvenuto, avvicinandosi al teatro lirico “dalla buca dell’orchestra”.
“Ho lavorato tantissimo – ricorda - al “Rossini Opera Festival” dal quale ho visto passare nomi stellari e sempre più mi rendevo conto di quanto sia grande l’amore verso il palcoscenico. Il teatro e la drammaturgia di un’opera mi attraevano come una farfalla con la luce. E così è stato in effetti. Considerati anche i miei studi al Dams, ho cominciato a lavorare non solo sulla musica, ma anche sul teatro e sul palcoscenico. Il melodramma è la forza che unisce musica e teatro e da lì sono partita.
Il mio approccio – continua la Cucchi - allo studio di un’opera che devo fare come regista è sempre suonarmela e questo mi dà delle sensazioni irripetibili. Credo che sia un valore aggiunto, soprattutto nei confronti degli interpreti. Noi registi d’opera lavoriamo non con attori, ma con dei cantanti che hanno diverse priorità rispetto a un attore: devono anzitutto cantare. Il che non significa che non debbano essere dei bravissimi attori. Oggigiorno la regia del teatro d’opera si è evoluta, ha fatto dei passi giganteschi, nel bene e nel male. Il teatro d’opera deve evolversi, altrimenti noi rimaniamo a un teatro un po’ polveroso che prima o poi rischia di scomparire e questo non lo vogliamo, perché l’opera è una forma d’arte meravigliosa.
Dobbiamo tenerla viva. Come? Sicuramente coltivando grandi interpreti, ma anche coltivando grandi attori-interpreti e scommettere su spettacoli che possano portare anche giovani a teatro, che incuriosiscano le nuove generazioni. Siamo felicissimi di vedere tante “teste bianche” in teatro, ma saremmo felici di vedere, senza alcun fraintendimento, anche delle scarpe da ginnastica. Tutto è bello in teatro, ma dobbiamo aprirlo alle nuove generazioni, altrimenti siamo tagliati fuori.
Questa è una nicchia, ma è una nicchia dorata che secondo me va aperta”.












 

Autore: Giuseppe Di Donna