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Nella stagione del Morelli, A. H. di Antonio Latella, alla ricerca delle origini del male

A. H.
05 nov 2013

Un titolo solo apparentemente incomprensibile, che subito si svela nell’identità di chi nel Novecento ha incarnato l’emblema del male, Adolf Hitler. Uno dei più recenti spettacoli firmati da Antonio Latella - A. H. appunto (produzione stabilemobile-compagnia Antonio Latella) - è figlio di un percorso artistico che il drammaturgo e regista compie sulla menzogna, attraverso il quale ricerca le radici del male.
Dopo il debutto estivo a Dro, lo spettacolo ha iniziato la sua tournèe nei teatri italiani e venerdì 8 novembre (ore 21.00) approda al Morelli, nella rassegna di teatro contemporaneo “More”, allestita da Scena Verticale.
Una potente prova d’attore, affidata all’interpretazione di Francesco Manetti. Collaboratore di lunga data della compagnia di cui ha curato il training a partire da Hamlet’s Portraits, Manetti utilizza la propria esperienza sul movimento come codice di partenza per una partitura drammaturgica sul corpo che diventa la toccante cifra della performance.
Attraverso una drammaturgia – curata dallo stesso Latella e da Federico Bellini – che spazia dalla Torah alla Bibbia, da Tolkien a Chaplin, da Lars von Trier a Antony and the Johnson, la performance giunge fino ad Adolf Hitler. In una scena spoglia, in cui compaiono solo un manichino da pittore, due secchi e un grande foglio da disegno, Francesco Manetti non imita, non interpreta, non recita il Fuhrer, ma incarna lo stesso concetto di male.
Questo lavoro sulla centralità dell’attore in scena, inscritta nell’ampio percorso di ricerca del regista sul tema della menzogna, sfocia in due nuovi spettacoli: Die Wohlgesinnten (ha debuttato il 4 ottobre scorso alla Schauspielhaus Wien, in Italia il 12 e 13 ottobre al Teatro Eliseo nell’ambito di Romaeuropa Festival) e Il servitore di due padroni (produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Stabile del Veneto, Fondazione Teatro Metastasio di Prato; debutto il 21 novembre al Teatro Bonci Cesena).

Per il pubblico di “More”, aperitivo in teatro dalle ore 20.00 e, al termine dello spettacolo, “Extra contents” a cura di LIQMAG.


Note di Regia
“E se invece di mettere i baffi alla Gioconda li togliessimo a Hitler?”.
Questa domanda non vuole essere una provocazione ma è, nella sua assurdità, il punto interrogativo da cui partiamo. Volgere lo sguardo da quel quadratino peloso, quella mosca sotto al naso, maschera dell’orrore di tutto il ‘900, a qualcosa di interiore, di terribilmente intimo, umano.
Non è nostra intenzione mettere in scena la figura di Adolf Hitler, non vogliamo cucire una divisa e farla indossare ad un attore per portarlo a recitare, a interpretare, a personificare o più probabilmente a scimmiottare Hitler. Sarebbe una pazzia e un fallimento di intenti, una mancanza di gusto e altro ancora.
Ci interessa, invece, intraprendere una riflessione sul male. Esiste il male? Certo, per esempio il cancro, un male terribile di cui tutti abbiamo paura perché uccide e non guarda in faccia a nessuno (ricco, povero, famoso, buono, cattivo, santo, peccatore, re, operaio, papa o laico…).
Di fronte a un simile male, la domanda non è solo “come sconfiggerlo?” ma soprattutto “perché nasce?”.
Partiamo da questo interrogativo per confrontarci con il cancro che ha colpito l’Europa, l’ha infettata, mutata, devastata, uccisa; è entrato nei cuori e nelle menti e si è trasformato in pensiero, in politica, si è mascherato da ragione, da bene ed ha sterminato senza nessuna pietà, come un angelo vendicatore. Poi un giorno, dopo anni di guerra, il male è stato sconfitto: il cancro e le sue metastasi sono state vinte, un coro di voci ha gridato alla vittoria e abbiamo ricominciato a vivere, a ricostruire e, anche, a dimenticare. Hitler è stato distrutto e sconfitto ma come tutti i grandi mali non è stato ucciso, si è ucciso per non morire, per custodire l’orrendo segreto della sua nascita. Come è stato possibile che il cancro Hitler sia entrato nel cuore di milioni di persone? Come è stato possibile che queste persone abbiano creduto in lui e si siano messe la mosca sotto al naso?

 

Autore: Annarita Callari